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Nessun dubbio che l’espansione dell’arte contemporanea abbia non solo accompagnato, ma promosso e legittimato culturalmente, la globalizzazione. Nessun dubbio che i musei e le istituzioni dell’arte siano diventate palestre neoliberali (sul modello delle imprese), prive di asperità e contrasti e che, in quanto tali, abbiano rinunciato alla sperimentazione, all’imprevisto e al proprio futuro. La moltiplicazione esponenziale di mostre e biennali che sfruttano temi come l’ecologia, il genere, e ora la questione razziale, quale vetrina dell’emancipazione liberale va letta nei termini di un processo di pacificazione (anti-conflittuale) e di autoassoluzione (artwashing) che tende solo a riaffermare l’arte come sistema autocratico del capitale, funzionale alla riproduzione delle gerarchie sociali e al mantenimento dell’ordine: Artecrazia appunto. L’analisi delle sue tecniche di governo, e delle possibili sottrazioni al suo regime, sono l’oggetto di questo libro. Il libro raccoglie in quattro sezioni (Esposizioni, Pubblici, Schermi, Storie) contributi critici su Guy Debord, Harald Szeemann, Alberto Grifi, Carla Lonzi, Paolo Virno, Sanja Iveković, Franco Vaccari, Marjetica Potrcˇ, Li Xianting e molti altri.