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L'opera apparve a Buenos Aires nel 1926, secondo libro di saggi dopo "Inquisizioni" (1925), e insieme a quest'ultimo e all'"Idioma degli argentini" (1928) fu ripudiato, tornando ufficialmente in circolazione solo dopo la morte del suo autore. Basta leggere l'ardente proclama con cui prende avvio per rendersi conto delle ragioni di quell'abiura: "Ormai Buenos Aires, piů che una cittŕ, č un Paese e occorre trovare la poesia e la musica e la pittura e la religione e la metafisica adatte alla sua grandezza". Libro delle furie, dunque, tracotante di audacia e di speranza, l'opera regola i conti con la coeva cultura argentina ("La nostra realtŕ vitale č grandiosa e la nostra realtŕ pensata miserabile"), attacca spavaldamente la pigra immobilitŕ della lingua letteraria e l'ingannevole prestigio delle parole che compongono i versi, celebra la pampa e il sobborgo ("li sento aprirsi come ferite e mi dolgono allo stesso modo").